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Architetture dell’animo

Architetture dell’animo
Gianluca Marziani

Immagini rapidissime ma consistenti… Irradiazioni gravitazionali senza solidità apparente… Galleggiamenti di pura energia nei luoghi del quotidiano… Limpidezza di una visione sensitiva che si sovrappone alla scorza fisica del vero… Viaggi psichici dello sguardo dentro l’esterno abitabile…

Al centro ecco una CITTA’, concreta eppure irreale, un’ipotesi empatica tra l’architettura costruita e l’utopismo urbano di calviniana memoria. Metropoli di flussi e luci nel cui perimetro navigano PERSONE, altrettanto reali eppure fantasmatiche, oleose, gradualmente in dissolvenza. Fasci di luce interiore prolungano quei corpi e invadono gli spazi civici del presente. Sono lame solarizzate, fluorescenti, acide: rapidissime nelle loro architetture volanti, muscoli della mente attorno agli attori involontari di un viaggio ad alta caratura visionaria. E poi c’è il colore, netto e psicologicamente decisivo, aggiunto con interventi manuali che segnano, evidenziano, nascondono.

Metropoli e corpi di un viaggio dentro la testa, il corpo, le emozioni…

Lavoro inquieto e interiore quello di Serafino Maiorano. Un percorso elettrico come il sibilo di corrente vibrante, sotteso ma percepibile ad occhio vestito (l’occhio nudo, troppo istintivo e spurio, non appartiene ad immagini così stratificate). Ondivago come il flusso di energie solari che invade la nostra essenza corporea. Fisico eppure gassoso, quasi incorporeo nella sua solidità digitale. Ai confini del flash mistico nella forma plasmata di luce inafferrabile.

INQUIETO… proprio perché la componente soggettiva (l’artista e la sua vita) diventa il propulsore atavico di una visione (l’opera) verso l’esterno percepibile (il mondo e le sue forme). Maiorano conosce se stesso, le difficoltà emotive, i confini sconfinanti della mente. Nessuna negazione dei propri nodi, anzi. L’arte si trasforma in terapia e panacea, sublimando paure e angosce lungo l’icona sintetica dei quadri. Ogni elemento estetico è la risultante di scintillanti consapevolezze, sguardi conclusi dentro l’io, vertiginose avventure negli horror vacui, nel terremoto emozionale, nel battito accelerato. Ansia e panico, componenti endemiche della società occidentale, consolidano nell’artista il nodo interiore da cui tutto parte. Stati alterati che ribaltano la percezione delle cose, cambiano i colori del mondo, mettono barriere insospettabili. Sono condizioni interiori che richiedono conoscenza di sé, calma meditativa, pazienza essenziale. D’altronde lo sappiamo, combatti la malattia solo quando dialoghi con la radice del malessere, andando negli anfratti primordiali, dove ogni domanda interiore trova risposte profondamente sincere. Al dunque, nulla come l’inquietudine delucida sulle motivazioni iniziali di Maiorano, sul prologo interiore e le necessità di usare l’arte come ricetta tra sincerità e intuito creativo.

INTERIORE… poiché quanto finora detto rileva, sotto varie forme simboliche, gli stati psichici ed emotivi di una condizione davvero privata. Prendiamo il quadro con l’uomo avanzante nella folla come un gigante in nero, irradiato da fasci luminosi che sembrano uscire dalle sue orecchie. Ha le sembianze dell’ombra che alberga dentro la mente, del male oscuro, degli attacchi di panico che rendono lo spazio un nemico giurato. L’apparato formale non possiede nulla di gratuito e rimanda sempre a condizioni temporanee, a blocchi o aperture emotive, ad una fusione tra mistero (la figura in nero) ed energia (il flusso di luce). E’ l’estetica al servizio di una complessa autoterapia dove conta il talento visionario, l’intuizione dell’invisibile, il controllo esegetico dei linguaggi.

Ma torniamo un attimo indietro, recuperando elementi visuali di un percorso coerente che combina fotografia, manualismi e cultura elettronica. In passato Maiorano ha raccontato il mondo animale, gli attrezzi agricoli, le insegne metropolitane, i palazzi storici, brandelli di campagna, corpi… sempre con la cocente consapevolezza del proprio nodo interiore, guardandosi in un prisma specchiante dove riflettere le inquietudini nascoste. Ogni oggetto prescelto torna sempre ad una radice privata e spiega il passato familiare, la terra d’origine, le cose amate, i riferimenti culturali che ci si porta dietro. Negativo e positivo, contrasti cromatici, perimetri sottolineati, lampi acidi: ambivalenze dello sguardo per affermare una condizione privata lungo una comunicazione universale, frutto di immagini aperte, codici leggibili, messaggi senza nulla di univoco.

2005. Roma. Nuove opere
Il progetto odierno segue l’omogeneità tematica dei precedenti cicli, concentrando lo sguardo su elementi ossessivi e riconoscibili. Anche qui, come accade quando si combatte una patologia, si insiste su punti fissi che devono essere sgretolati. Maiorano ha così percepito nella città architettonica il campo privilegiato d’indagine. Vi sente il magma fagocitante del caos diurno, l’ambiguità scenografica del buio, il mammouth monolitico del groviglio umano e sonoro. Un luogo dove scomparire ma anche proteggersi dentro l’anonimato del flusso collettivo, finché nella città ideale si ritrovano pezzi del proprio universo sospeso. Ecco sedie e corpi volanti, volumi nebulosi, planimetrie personali… dettagli centrali attorno alla città e alle persone che la abitano. Figure umane “rubate” durante il giorno, colte di sorpresa, fissate con un obiettivo che non si propone agli altri ma capta le pose involontarie. Tutto ciò dentro spazi caratterizzati che svelano una Roma monumentale e gridata, figlia dell’era moderna, senza la classica retorica di punti troppo noti. In realtà, Roma potrebbe essere qualsiasi luogo poiché tutto vibra sottopelle. La metropoli, attraverso le sciabolate luminose, si astrae dal proprio status, perde peso e spiritualizza la pietra che la blocca al suolo. La protagonista, al dunque, si chiama luce, eccessiva e metafisica, dantesca e indefinibile. Solida eppure gassosa, ghiacciata ma elasticamente fluida. Una luce che è corpo umano, essenza sentimentale, amplesso di natura e artificio.

Sedie e corpi volanti
Ecco una sedia che vola, in alto sopra le persone a passeggio in una galleria del centro urbano. Altro quadro, stesso luogo ma una persona che galleggia come un’aquila eretta. Frammenti immaginari di uno sganciarsi dal suolo pesante, decollando sopra il dilemma, oltre la cortina d’angoscia, verso apparizioni che si realizzano d’improvviso. Il volo dei corpi non volanti (soprattutto persone) resta un’icona surreale con cui spiegare la libertà inseguita, immaginando perdite di peso che corrispondono a nuove leggerezze spirituali. Lo sguardo interiore esce fuori da se stesso e guarda le proprie ansie, le indaga nel silenzio sibilante dell’aria. Osserva il nodo soggettivo con la modalità impossibile del volo cerebrale, ricreato nel cielo dei sentimenti forti, totalizzanti. Veri.

Volumi nebulosi
Diversi volumi aerei incombono sopra i corpi, quasi a comprimere il pensiero e il movimento verso il suolo. Sono il controcanto delle sedie e dei corpi sospesi, la misura della tensione interiore che prende forma di nuvola morbida ma incombente. Alcune hanno colori chiari, altre si stagliano coi loro neri sotterranei, misurando gli stati d’animo nei diversi aspetti dello sguardo. Volumi ora di un bianco lattiginoso, ora sul verde primaverile, ora di un intenso nero bituminoso… finché sotto una nube gonfia vediamo un corpo bianco, sdraiato su una sedia, misterioso come le apparizioni urlanti da horror statunitense. Quell’immagine umanoide è la più profonda delle icone di Maiorano, un logo fisico del suo viaggio multilinguistico. Vero archetipo della paura che ti blocca al suolo, sulla sedia organica che incarna il segno e il simbolo del movimento mancato, dell’attesa di nuovi spostamenti.

Architetture dell’animo
Talvolta spuntano piante architettoniche in scala. Galleggiano nella scena in una fascinosa dissolvenza incrociata, portando in campo la casa di Maiorano, il suo mondo privato che gioca tra micro e macro, tra spazi abitabili e luoghi di atmosfera metafisica. E’ ancora il soggetto creatore che insiste ad aprirsi, disvelando la sfera domestica dentro il racconto di una città abitabile, quasi un circo silenzioso di equlibrismi e voli improvvisi.

Appare chiaro come tutto sia riconducibile ad un cosciente e complesso AUTORITRARSI. Che poi significa raccontare la lotta silente di ogni fruitore partecipe, vittima (consapevole o meno) di una completezza ogni volta mancata (secondo gli usi diffusi di un’umanità con l’eccesso di paura). Le forme ovvie divengono archetipi, i corpi in scena spiegano la natura del proprio essere, le derive surreali completano la discesa tra stabilità e sisma dell’individuo. Per Maiorano l’immagine si misura in altezze improvvise, profondità sommerse, spinte cinetiche e pressioni senza orizzonte. Il suo autoritratto moltiplicabile racconta l’umanità attraverso il mondo, i caratteri attraverso le cose, gli eventi interiori attraverso la vitalità del quotidiano attorno a noi.

Valutati i valori estetici, le necessità creative e i termini morali, il risultato premia l’operazione di Serafino Maiorano. Oltre a quanto finora detto, quattro punti sintetizzano le immagini e appaiono di particolare interesse, a conferma delle svariate velocità e dei molti percorsi che un’opera riuscita sviluppa.

Funziona la costruzione estetica, mai didascalica né troppo digitalizzata. I quadri combinano la radice fotografica con alcune decisive manipolazioni elettroniche e un successivo intervento manuale sopra la stampa. Congegni tecnici per ottenere risultati che sono il cuore onesto della visione immaginata, il fulcro di una mescolanza tra individuo e mondo esterno, freddezza e calore, distanza e vicinanza. La forma rispecchia gli intrecci interiori, i nodi psicologici, le convivenze tra diversità stridenti. Non a caso, dopo un procedimento di attenta precisione tecnica, il tocco manuale incide tatuaggi di colore, sottolinea momenti o aspetti in dettaglio, talvolta nasconde per evidenziare. Un costruire che si sovrappone all’abitazione in pianta, a conferma che quanto vediamo nasconde frammenti di una lenta e progressiva scoperta.

Un altro motivo di funzionamento riguarda l’apertura semantica dell’immagine, interpretabile con motivazioni e valenze sempre diverse. Merito dell’intuito stilistico che non limita le relazioni elementari tra le parti ma evidenzia le ulteriori e plausibili interpretazioni. Abbiamo detto diverse cose a proposito dell’artista, del suo status interiore, del modo in cui le opere esprimono una coscienza e un’attitudine individuale. Al contempo, potremmo azzerare i conti e ripartire da altri stradari, inventarci letture dalle motivazioni realistiche, buttarci verso angolazioni completamente nostre.

Altri valori costruttivi toccano l’ambiguità narrativa, il mistero scenico, il pathos ribollente delle visioni. Le immagini ti catturano come in un film di Sharunas Bartas, regista lituano che crea flussi indefinibili oltre il tempo e lo spazio normali. Si aggiungano le atmosfere sospese dei maestri Carl Theodor Dreyer e Andrej Tarkovskij, metafisici cultori di un viaggio cerebrale per immagini, sempre sul crinale tra metafisica e scomparsa nel nulla infinito. I quadri hanno un dinamismo interno che li rimanda facilmente ad un cinema metafisico, spiritualmente aperto, in lenta dissolvenza verso il colore che permane (dentro il colore stesso) anche se sembra non esserci più.

E poi si percepiscono le atmosfere di certa musica elettronica, quella più asciutta e rigorosa, minimale per natura estrema del bit. Vengono in mente Boards of Canada, Akufen, Mouse on Mars, Metamatics, Autechre… nomi che si adattano perfettamente alle stilettate luminose, alle propulsioni sensoriali, ai brandelli raffreddati delle opere visive. Appare un completamento necessario il tappeto sonoro attorno alle immagini, ribadendo come le opere riuscite lascino spazio ai propri suoni elettivi.

L’arte, insomma, come salvezza personale, piattaforma galleggiante su cui fermarsi per riposare testa, sentimenti e membra affaticate. L’arte di essere artista in un’essenza della propria necessità interiore, dentro e attorno alle inquietudini da combattere, con intelligenza e qualità soggettiva, sfruttando il potenziale creativo che ci si porta dentro.

Ad Maiora(no)…

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